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mercoledì 10 ottobre 2012

Una Rivoluzione Conservatrice per l'Europa.

Articolo di Giovanni Balducci Il termine “rivoluzione conservatrice” (Konservative Revolution) venne utilizzato per la prima volta il 10 gennaio 1927 dallo scrittore tedesco di origine ebraica Hugo von Hofmannsthal, durante una conferenza a Monaco di Baviera dal titolo “Das Schriftum als geistiger Raum der Nation”, ossia “La letteratura come spazio spirituale della nazione”, ma incontrerà fortuna grazie alle opere omonime Die konservative Revolution : Versuch und Bruch mit Hitler, di Hermann Rauschning, e Die konservative Revolution in Deutschland, 1918-1932 : Ein Handbuch, di Armin Mohler, rispettivamente del 1941 e del 1950. Ben presto il concetto di rivoluzione conservatrice si farà largo tra tutti gli intellettuali non di sinistra, e che si opponevano alla Repubblica di Weimar, assurgendo al ruolo di baricentro di ideali che da una parte rifiutavano il progressismo positivista, e dall’altra propugnavano una rivoluzione: laddove il termine rivoluzione è da intendersi, com’ebbe a chiarire Julius Evola, nella doppia accezione « di una rivolta contro un dato stato di fatto» e «di un ritorno, di una conversione – per cui nell’antico linguaggio astronomico la rivoluzione di un astro significava il suo ritorno al punto di partenza e il suo moto ordinato intorno ad un centro». Tra il 1918 e il 1932, gli ideali della Konservative Revolution ebbero molti sostenitori di elevato spessore intellettuale come Ernst Jünger, Carl Schmitt, Martin Heidegger, Oswald Spengler, Thomas Mann, Gottfried Benn, e molti altri. Può dirsi, che la Rivoluzione conservatrice tedesca abbia rappresentato il fertile terreno culturale da cui germinò il movimento nazionalsocialista. Tuttavia, dopo il 1933 solo alcuni sostenitori della Konservative Revolution aderirono al nazismo (è il caso di Carl Schmitt), mentre altri esponenti ne presero le distanze, ritirandosi (come Gottfried Benn) o diventandone oppositori (come Thomas Mann). Ciò che è certo è che in quella informe Babele che era la Repubblica di Weimar tutte queste fervide menti avevano un unico obbiettivo: opporsi al “tramonto dell’Occidente”, restaurando l’ordine tradizionale, attraverso una rivoluzione atta a debellare dal cuore dell’Europa tre grandi mali: la demonia capitalistica, l’egualitarismo di matrice giacobina, e lo spettro comunista. Similmente in Italia, il coevo movimento fascista si proponeva l’intento di modificare la società, creando uno “Stato-società” basato sulle corporazioni, rettificando l’ideologia dello “Stato-popolo” apportata dalla Rivoluzione francese, e distinguendosi nettamente dallo “Stato-classe” attuato dalla rivoluzione bolscevica in Russia. Ciò doveva essere raggiunto attraverso la rivoluzione, come risulta dal Programma di San Sepolcro del 1919: «Noi non abbiamo bisogno di metterci programmaticamente sul terreno della rivoluzione perché, in senso storico, ci siamo dal 1915». Quella fascista, in effetti, fu proprio una “rivoluzione conservatrice”, com’ebbe a sostenere il prof. Renzo De Felice. Tuttavia fascismo e Rivoluzione conservatrice costituiscono certamente due concetti non sovrapponibili, come non sovrapponibile alla Konservative Revolution fu il nazismo: partito di massa, che fece ampio ricorso ad una moderna propaganda. Ma certamente dopo la disfatta bellica della Germania nazionalsocialista e la capitolazione del regime fascista, in Europa, in ambito strettamente politico, non ci sono più stati grossi tentativi di riportare in auge concetti rivoluzionario-conservatori, e la rivoluzione conservatrice è rimasta solo un grande sogno eretico di pensatori coraggiosi come un Jean Thiriart, un Armin Mohler, un Alain de Benoist, o un Marcello Veneziani in Italia. Malgrado tutto, però,l’interesse per gli autori della Rivoluzione Conservatrice non si è mai sopito, e diviene sempre maggiore in questi tempi di crisi economica e morale. Ci auspichiamo che le loro idee vengano rispolverate e rimeditate dalle èlites intellettuali e (soprattutto) politiche più avvedute, e che non rimangano solo il donchisciottesco sogno di pochi.

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