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martedì 25 settembre 2012

"La democrazia nell'arte? Fiorì durante il Fascismo"

"La democrazia nell'arte? Fiorì durante il Fascismo" (articolo di Francesca Amè sul Il Giornale). Classicismo, futurismo, espressionismo, astrattismo: il massimo di libertà in ambito culturale si ebbe quando il regime era all'apice. Formidabili, gli anni Trenta. Nel decennio in cui si passa dal consenso al regime fascista alle leggi razziali per poi precipitare nella Seconda Guerra Mondiale, nell'arte si combattono vivaci battaglie. Nascono il design e la comunicazione di massa, mentre pittura, scultura, architettura si cimentano in tutto e nel suo contrario. La via italiana alla modernità, che oggi chiamiamo made in Italy, viene aperta allora, in un sapiente mix di innovazione e tradizione. A Firenze, Palazzo Strozzi celebra con la mostra «Anni Trenta. Arti in Italia oltre il fascismo» (da domani al 27 gennaio, www.palazzostrozzi.org) la complessità di un decennio dominato da una debordante creatività. Difficile trovare un collante alle diverse espressioni: la ricerca dell'essenzialità, la purezza della forma e l'innovazione, certamente. Tuttavia, se l'icona dell'esposizione fiorentina è, a buon diritto, la splendida Donna al caffè di Antonio Donghi (1931), forse va considerato il fatto che la via italiana alla modernità passa anche da quegli occhi, enigmatici e inquieti. Un centinaio di dipinti, sculture e oggetti ci raccontano di un periodo in cui le arti ebbero una prodigiosa fioritura se solo si è capaci di apprezzarla liberandosi dal pregiudizio per cui la cultura è pedissequo specchio del momento politico in cui nasce. Durante i fascisti Anni Trenta convivono (complice un Mussolini meno monocorde di Hitler) gli stili più svariati: dal classicismo allineato ai rigidi dettami nazisti al futurismo più sperimentatore, dall'espressionismo più carico all'astrattismo più cerebrale, dall'arte monumentale a quella bon-ton da salotto. E non è dunque un caso che la mostra curata da Antonello Negri con Silvia Bignami, Paolo Rusconi, Giorgio Zanchetti e Susanna Ragionieri si apre con una carrellata sulle tante «scuole» dell'epoca (la Milano di Martini e Carrà, la Firenze di Rosai e Lega, la Roma di Donghi e Mafai, la Torino di Casorati). Gli anni Trenta sono plurali in tutto, anche nella geografia culturale. Sono un decennio durante il quale i giovani scommettono sull'arte, in cui non si teme il confronto con l'estero (De Pisis e Savinio a chi guardano, se non alla scena culturale di Parigi?), in cui dalla cultura si attendono risposte. E sì, anche propaganda ideologica, ma non solo quello. L'arte pubblica e il muralismo - esemplari, a questo proposito, i grandi disegni di Mario Sironi in mostra - comunicano l'ideologia fascista alle masse, ma negli stessi anni l'arte «tascabile» (il design), la radio e il cinegiornale fanno compiere al Paese un balzo in avanti verso la modernità. La mostra, forte di un allestimento coinvolgente anche per i non addetti ai lavori, suggerisce l'atmosfera dell'epoca con oggetti quali le lampade di Albini o di Baldessari che dialogano con fotografie vintage e spezzoni cinematografici coevi. Suddivisa in sette sezioni, di cui l'ultima dedicata a Firenze, città di Soffici, Rosai, Viani, centro delle riviste e degli eventi culturali (nasce allora il Maggio Fiorentino), l'esposizione ha il suo fulcro nella sezione «Contrasti», una doppia sala dove avanguardia e tradizione fanno a pugni, nutrendosi però l'una dell'altra. Il visitatore osserva i nudi ariani, perfetti e inquietanti, de I quattro elementi di Adolf Ziegler, quadro mai esposto prima in Italia ma celeberrimo all'epoca, visto che Hitler se lo teneva sul camino del salotto di casa e che sue riproduzioni erano ovunque, persino sulle scatole dei fiammiferi. Accanto alla tela di Ziegler, le stravaganti sculture di Lucio Fontana, le pennellate espressioniste di Birolli, i disegni razionali delle architetture di Terragni. Tutto e il suo contrario, e tutto negli stessi anni. Da una parte i disegni della Crocifissione di Renato Guttuso, che con il suo martirio molto contemporaneo, quasi irriverente, vinse nel '42 il Premio Bergamo (sponsor: Giuseppe Bottai), dall'altra Il grano di Pietro Gaudenzi, esaltazione in perfetto stile fascista delle fatiche nei campi, che due anni prima valse all'artista il più reazionario Premio Cremona. C'era voglia di comunicare, di fare, di esplorare, di dettare legge e di violarla. Formidabili gli Anni Trenta, che tutto furono tranne che irregimentati. http://www.ilgiornale.it/news/cultura/democrazia-nellarte-fior-sotto-fascismo-839348.html

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