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lunedì 16 luglio 2012

"Ritorno ad Itaca": Renato Besana.

Editoriale di Renato Besana Itaca, un'idea di movimento un ritorno che sia punto di ritrovo Sopra la banca la Patria campa, sotto la banca la Patria crepa, valeva al tempo di Ciampi e ora è anche peggio
e a suscitare tante accese reazioni sono bastati due articoli di giornale, uno di Marcello Veneziani sul “Secolo” e uno mio su “Libero”, vuol dire che l’argomento affrontato aveva, come i decreti legge, le caratteristiche della necessità e, speriamo, dell’urgenza: sottrarre all’afasia e all’inconsistenza una parte importante della politica italiana, riunendo le tribù in cui si è frammentata. Destra, siamo tutti d’accordo, è parola logorata dall’uso e riuso, come sinistra del resto, ma è difficile fare a meno delle vecchie signore che, da due secoli a questa parte, tante volte si sono scambiate di posto. Tutti vorrebbero spingersi oltre la destra e oltre la sinistra, e magari oltre il centro, ma non c’è scelta, almeno finché le aule parlamentari saranno disposte a emiciclo e il criterio geometrico rimarrà il più semplice per capire da che parte si sta. Se Camera e Senato fossero come i cinema di una volta, con la platea e la galleria, potremmo divederci in insuisti e ingiuisti, rubando i neologismi a un aureo librino di Montanelli; al momento, però, tocca accontentarsi. Giusto vent’anni fa Giuseppe Sermonti, nell’aprire un convegno promosso da “L’Italia settimanale”, si affidò alla parafrasi ironica di uno scioglilingua per riassumere gli effetti del governo Ciampi: “Sopra la banca la patria campa, sotto la banca la patria crepa”. Non ci siamo mossi di lì; anzi, appena toccato il fondo, abbiamo cominciato a scavare. Oggi siamo soggetti a un governo d’occupazione, per il quale lo Stato è il gabelliere della finanza mondialista. Politici di lungo corso, in evidente stato confusionale, cercano di rubarsi la battuta in quella forma di avanspettacolo che va sotto il nome di talk-show. Il Pdl, concepito come un mero comitato elettorale, non è mai riuscito a trasformarsi in un partito vero: perso il potere, ha perso tutto, proprio come accadde a Dc e Psi nel declino della prima repubblica. Gli elettori gli hanno voltato le spalle; le diverse anime che pur detestandosi hanno convissuto sotto l’ombrello berlusconiano cercano di riprendersi ciascuna la propria identità, cattolica o socialista o d’impronta liberale. Una manca all’appello. L’ultima volta che è stata intravista era intenta a celebrare lo scioglimento della sigla nella quale aveva sperato di riconoscersi. Per carità: nessuna nostalgia per la diafana Alleanza nazionale, né per le care memorie del vecchio Msi. Grandi battaglie, grandi illusioni, grandi sconfitte: non è il caso di rivangare. Neppure è il caso, tuttavia, di assistere a braccia conserte, magari invocando, in bilico tra nobiltà e narcisismo, le ragioni del disincanto. È questo il momento di rivoltarsi le maniche, per quel poco o quel tanto che si può. Mai come ora il nostro squinternato Paese, spossato dall’ideologia, ha bisogno di una destra: per ristabilire il senso dello Stato, emancipandolo dalle fameliche clientele che lo spolpano; per reclamare la preminenza degli interessi nazionali; per restituire una speranza a chi l’ha perduta. E l’agenda certo non finisce qui. L’Italia, come cento anni fa, è tornata a essere la Grande Proletaria che cerca di alzare la fronte al cospetto delle potenze egemoni. Serve una seconda ricostruzione, morale e materiale. Questo è Itaca: un’idea in movimento, un ritorno che sia punto di ritrovo dal quale intraprendere un nuovo viaggio. Ci si vede domenica 15 luglio al Monastero Valledacqua, ad Acquasanta Terme. Benvenuti a bordo.

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